martedì 9 aprile 2024

Un altro giorno

 


“Domenica potrei venire con te? Ti posso aiutare.”. Si stupì di quella domanda inattesa ma che le diede un attimo di felicità e rispose in modo istintivo e con un po’ di imbarazzo “Si, certo che puoi”. Se ne pentì subito dopo. Non perché non lo volesse con lei o non le facesse piacere avere compagnia, anzi il contrario, ma temeva sè stessa. Sapeva come si trasforma in cucina mentre lavora, se qualcosa non fosse andata per il verso giusto avrebbe potuto avere reazioni aggressive. Si frequentavano da due giorni, forse tre, lui non la conosceva e non le sarebbe piaciuto mostrargli il suo “dark side of the moon”. Però non voleva rinunciare a passare del tempo con quell’uomo che le era “piombato” nella vita quasi accidentalmente.

Le cose non succedono mai per caso, anche se possono succedere all’improvviso. E fu proprio così che successe, d’improvviso. Quando accadde lei provò la stessa sensazione che si ha quando si scorge nel cielo una stella cadente. Anche a voi sarà capitato di vederle. Il repentino movimento di quella gigantesca pietra infuocata, disegna nel cielo una traccia luminosa che lascia rapiti e sgomenti. Non te l’aspetti mai di vederla una stella cadente, capita e capita d’improvviso. E quando succede, senti dentro una sensazione strana, non sgradevole anzi, al contrario, solo che non la riesci ad identificare perché è un misto tra stupore, sbigottimento e felicità. Chissà perché poi si goda guardando qualcosa che sta morendo.

Comunque lei provò la stessa cosa. E così decise di non dirgli di aver pensato che aveva risposto troppo frettolosamente e forse sarebbe stato meglio che non andasse con lei; decise di viversi il momento e le emozioni. Trovò però una sorta di escamotage per evitare caso mai di farlo sentire di troppo e non sentirsi in imbarazzo lei nel caso la situazione fosse sull’orlo del precipizio nervoso. “Sai, ho pensato che mi saresti di grande aiuto se potessi fare delle foto ai piatti. Non ho mai il tempo per farlo mentre lavoro, così se le facessi tu mi faresti un grande favore”.

Così, partirono la domenica mattina verso un piccolo centro vicino Palermo. Il breve viaggio in auto, in quella giornata uggiosa e fredda, fu riscaldato dalle loro risa. Arrivati a destinazione, dopo le presentazioni e qualche minuto d’imbarazzo, cominciarono a lavorare. Lei gli illustrò il menù. Due antipasti: Profiterole con crema di zucchine genovesi e fonduta di formaggi con mandorle al almelle e Crema di avocado e zenzero con crudités e gamberoni in pasta kataifi. Un primo: Risotto ai topinambour. Due secondi: Quiche di spinaci e ricotta di pecora con salsa al mascarpone aromatizzata con cannella e paprika dolce, Filetti di spigola con carciofi in sfoglia con patate alla curcuma al forno. Gli mostrò anche il piano di lavoro e gli diede subito un compito, fare la crema di avocado. Lui lo eseguì in modo esemplare e senza fare domande, se non quelle giuste su cosa mettere e quanto. Lei nel frattempo si dedicò alla fonduta. La giornata scivolò liscia come l’olio d’oliva su un piatto di porcellana. Si muovevano in simbiosi in quei pochi metri quadrati, come se fossero da sempre abituati a stare l’una accanto all’altro, senza tensioni, senza scontri, addirittura divertendosi. Lei era quasi incredula che non si fosse arrabbiata neanche un secondo, lui le dava serenità e ad un tratto si voltò, lo guardò e gli disse: “Siamo praticamente perfetti… lavorativamente parlando, non ti mettere cose in testa”. Gli si avvicinò e lo baciò a lungo sulle labbra.

Si svegliò di soprassalto. La luce dell’abat-jour sul comodino si accendeva e si spegneva ad intermittenza. La lampadina aveva deciso di suicidarsi. Altro che stella cadente. Gli uccellini cominciavano a cinguettare. Fra poco sarà giorno. Un altro. Per fortuna.

lunedì 20 novembre 2023

Pasta cu i vruocculi arriminata - Pasta con i broccoli in tegame

Prima di passare alla descrizione della ricetta di questo gustosissimo primo piatto palermitano, vorrei fare una premessa “linguistica”.

Che i Siciliani, e in particolare i Palermitani, abbiano un abito mentale ‘nturciuniatu (contorto) – i dotti lo descriverebbero filosofico – è indubbio. Noi le cose semplici le facciamo diventare complicate, così per non annoiarci. Pure in questa ricetta, usiamo il termine “broccolo” ma intendiamo

martedì 31 ottobre 2023

La Frutta Martorana

 

Scatola con Frutta Martorana (Ph: Monica Cecere)

La tradizione dolciaria in Sicilia è antica quanto la storia dell’isola ed è, come tutta la gastronomia siciliana, un melting-pot di ingredienti, tecniche e preparazioni lasciateci in eredità dalle tante dominazioni.

Già in epoca etrusco-romana venivano preparati dei dolcetti di mandorle da offrire alle divinità, ma la ricetta del marzapane come la conosciamo noi, fatta con farina di mandorle dolci, albume d’uovo e zucchero, risale al XIII-XIV secolo.

Il nome deriva dall’arabo Mauthaban o Marzaban, unità di capacità in uso a Cipro ed in Armenia. Come per l'anfora, per la giara o per la botte, divenne consuetudine chiamare con lo stesso nome il contenitore tarato sulla misura. Era una scatola di legno leggero dotata di un coperchio e veniva utilizzata per usi diversi. Per racchiudere la corrispondenza o i documenti importanti, ma anche per spedire speciali dolci prodotti a Cipro, confezionati con farina di mandorle ed altri ingredienti. Questi erano a forma di pani e dato che prendevano la forma della scatola, il nome dell'involucro passò al contenuto.

Nella storia della gastronomia, la più antica e famosa preparazione fatta con il marzapane è la Frutta di Martorana, che vide la luce ufficialmente a Palermo, nel convento omonimo annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio. Con il marzapane le suore confezionavano per la festa di Ognissanti piccoli dolci, che imitavano meticolosamente frutti d'ogni tipo dai colori vivacissimi, ottenuti grazie alla gomma arabica che permetteva di fissare le tinte vegetali derivanti da rose, zafferano, pistacchio e altri vegetali. Questi prelibati dolcetti pare fossero molto apprezzati da Ruggero II Re di Sicilia e, in quanto degna di re, la pasta di mandorle in Sicilia cominciò ad essere appellata “pasta reale”.

mercoledì 29 giugno 2022

Pasta con i tenerumi. Un must delle tavole estive palermitane

 


A Palermo non è estate se non sudi davanti ad un piatto di pasta con i tenerumi. Questi sono le foglie e i germogli teneri della Lagenaria longissima, una pianta rampicante che produce una zucchina affusolata e lunghissima che può raggiungere anche i due metri, e proprio per questo nota ai palermitani come ’a cucuzza luonga.

I tenerumi hanno un sapore dolce e delicato, proprietà diuretiche, un basso apporto calorico e un’alta digeribilità. È una verdura, insieme al suo frutto, ricca di vitamine e sali minerali.

Tante sono le ricette che si possono realizzare con questa verdura, ma, da palermitana DOC quale sono, vi propongo la ricetta della nostra tipica minestra. È gustosissima e la preparazione non richiede grande impegno, se non nel lavarne bene le foglie.

martedì 17 maggio 2022

Nuova sessione: Ricette di casa mia. Carciofi apparecchiati della nonna Nella

Chiedo scusa per la lunga assenza, ma capita che io venga travolta da “lagnusia” (“pigrizia” per i non palermitani) per iperattività. Sembra un ossimoro ma in verità si sposa pienamente con la mia vita. Immersa in attività varie e variegate lascio da parte le cose che mi interessano personalmente, e nel tempo libero invece di scrivere mi lascio prendere da, appunto, “lagnusia compulsiva”.

Ritorno con la promessa dell’inaugurazione di una nuova sessione del blog, Ricette di Casa Mia, dedicato a preparazioni facili e veloci per la cucina di tutti i giorni. Sono tutte ricette tramandatemi da nonne, zie e zii, mamme, amiche e amici. Piatti che si possono annoverare nella tradizione della mia famiglia e che si perpetuano grazie al lascito gastronomico di queste meravigliose persone.

Spero tanto vi piacerà!

La prima ricetta della nuova sessione mi è stata tramandata da una splendida donna, la madre di mia madre, la Nonna Nella.

Alta, corpo affusolato, gambe bellissime e una mente aperta ed evoluta. Grande cuoca che ha trasmesso prima alle sue figlie e poi a tutte le nipoti il piacere di stare in cucina. I suoi non erano piatti erano dichiarazioni d’Amore tradotte in cibo; nutrimento per il corpo e per l’anima.

Ve la propongo perché ancora, anche se a fine stagione, sui colorati banchi dei nostri mercati i carciofi si trovano e sono ancora molto buoni.

Ed eccovi la ricetta: semplice, veloce e saporitissima.

I Carciofi Apparecchiati della Nonna Nella

Ingredienti per 4 persone:

4 carciofi spinosi o mammole;2 litri d’acqua; ¼ di bicchiere di aceto di vino bianco; 250 gr. di muddica (pangrattato); 3 spicchi d’aglio; 4 filetti di acciughe sott’olio; olio EVO; 1 cucchiaio di zucchero, 1 cucchiaio di sale, pepe e prezzemolo q.b.

lunedì 15 febbraio 2021

Cassata al forno, la pietra filosofale della pasticceria siciliana

 "Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua"[1]

 

Anche in tempi di isolamento forzato e di sacrifici utili alla salute nostra e a quella degli altri, non è detto che dobbiamo astenerci anche dai piaceri della tavola e dalle nostre tradizioni. Anzi, sono certa che nessun siciliano rinuncerà a celebrare la Pasqua davanti ad un sontuoso tavolo imbandito per l’occasione al centro del quale trionferà la magnifica cassata, la celeberrima torta a base di ricotta di pecora zuccherata, pan di Spagna, pasta reale e frutta candita.

Il barocco, elaborato gâteau come lo conosciamo oggi, trionfo di pan di Spagna, crema di ricotta, vaniglia e pasta reale, cedro e cannella, frutta candita, zuccata e capello d’angelo, con la copertura di ghiaccia reale a formare intarsi geometrici e floreali arabeschi, trionfale visione del mondo, nacque soltanto a metà dell’Ottocento, quando il celebre pasticciere palermitano cavaliere Salvatore Gulì, che produceva industrialmente “zuccata e frutti canditi”, a scopo d’incrementarne la vendita creò una sua “cassata alla siciliana”, come la chiamò, ricca di ogni sorta di ben di Dio di produzione della casa. La presentò nel 1873 all’Esposizione di Vienna. Il successo fu immediato perché quel trionfo barocco meglio ubbidiva alla gran voglia di esprimere una siciliana esuberante sensualità. Il suo aspetto non è del tutto devoto, ma al contrario pregno di una sorta di erotismo represso, che attende di esplodere all’assaggio.

Questo dolce, che si può considerare la pietra filosofale dell’arte dolciaria siciliana, è stata inventata dagli Arabi[2], signori della Trinacria tra il IX e l’XI secolo.

La leggenda narra che una notte un pastore arabo decise di mescolare la ricotta, che veniva già prodotta in Sicilia dal Paleolitico, con lo zucchero. Pare che mentre il saracino stava impastando gli ingredienti, ad un siciliano che gli aveva invece chiesto il nome del dolce, abbia risposto “Quas’at[3], cioè il nome della ciotola di rame che stava utilizzando.

Successivamente, i cuochi alla corte dell’Emiro, in piazza Kalsa a Palermo, sperimentarono di avvolgere l’impasto dentro una sfoglia di pasta frolla e di cuocere il tutto al forno. Nacque così la prima vera versione del famoso dolce, quella che oggi viene chiamata cassata al forno.

Durante la dominazione Normanna, a Palermo, nel convento di Santa Maria dell’Ammiraglio meglio nota come Martorana, le monache inventarono la “pasta reale” o, per l’appunto,  “Martorana”, una pasta modellabile fatta con farina di mandorle e zucchero, colorata di verde con estratti di erbe. Le pie donne cominciarono ad utilizzarla come involucro per la torta al posto della pasta frolla.

Con gli Spagnoli arrivarono nelle cucine dei Monsù del Regno delle Due Sicilie un nuovioingrediente che contribuì ad arricchire la cassata: il cioccolato. Il pan di Spagna, invece, arriverà nella composizione della torta nel 1750 circa, creazione del pasticcere dell’ambasciatore d’Italia in Spagna, Giovan Battista Cabona; mentre i canditi saranno aggiunti in età Barocca. Ed infine, come prima detto, arrivò il cavalier Gulì.

Ancora oggi sono innumerevoli le varianti locali di questo delizioso dessert, più o meno riccamente decorato e con ingredienti aggiuntivi quali pinoli, pistacchio, acqua di zagara d’arancia. A Palermo trionfa la cassata del cavalier Gulì, ma assai diffusa è anche la versione “al forno”, più fedele a quella primordiale.

È proprio di quest’ultima vi scriverò la ricetta, tramandatami da un vecchio fornaio che, ahimè, da anni non c’è più. Eccovi la Cassata al forno dello zio Giulio.

Ingredienti (per uno stampo di 24-26 cm). Per la pasta frolla: 1 kg. di farina 00; 400 gr. di zucchero; 300 gr. di strutto; 10 gr. di ammoniaca per dolci; 1 uovo; 100 gr. di latte freddo; un pizzico di sale. Per la crema di ricotta: 1 kg. di ricotta di pecora; 250 gr. di zucchero; ½ bustina di vanillina; 50 gr. di cioccolato fondente a pezzetti; 1 cucchiaino di acqua di zagara (facoltativo).

Procedimento: acquistate la ricotta un giorno prima e mettetela a perdere il siero per almeno un paio d’ore. Fatto ciò, mettetela in un recipiente con lo zucchero, la vanillina e l’acqua aromatizzata (se la utilizzate). Tappate il recipiente e lasciatela in frigorifero fino all’indomani[4] quando la riprenderete e la lavorerete a crema passandola per il setaccio (potete, anche se non ve lo consiglio, sbatterla con le fruste elettriche, tanto andrà cotta). Quando la crema sarà bel liscia, aggiungete i pezzetti di cioccolato.

Preparate adesso la pasta frolla. Setacciate la farina su una spianatoia e formate una fontana al centro della quale romperete l’uovo, verserete il latte e metterete un generoso pizzico di sale. Cospargete intorno lo strutto a pezzetti. Impastate rapidamente, prima con una forchetta e poi con le mani, aggiungendo un po’ di acqua fredda se necessaria. L’impasto dovrà risultare compatto e morbido ma non troppo appiccicoso.

Riscaldate il forno, statico, a 200° C.

Ungete leggermente lo stampo e ricopritelo con della carta forno. Ora foderatene il fondo e i bordi con 2/3 della pasta frolla; riempite questo scrigno con la crema di ricotta e rivestite tutto con il rimanente impasto.

Infornate la torta nel ripiano più basso per 25 minuti a 200°, poi riducete la temperatura a 180° C e proseguite la cottura per altri 20 minuti circa.



Quindi sfornatela e lasciatela raffreddare completamente. A questo punto la potete rigirare su un piatto da portata o un vassoio, cospargerla di zucchero a velo e cannella…Et voilà!

Buone cose di Rinascita a tutti!

 Nota: Il cibo, lo sappiano bene, non è solo sostentamento anche se è la base della vita. La cucina è identità, cultura, linguaggio, comunicazione, simbolo, estetica. La cassata siciliana può essere considerata la somma emblematica di tutto questo, una sorta di mappa storico-culturale-estetica della nostra isola.

A tal proposito, Roberto Scarpinato - magistrato antimafia - nell’interessante articolo “Marilyn Monroe e la cassata siciliana” nei Quaderni di Micromega del 2004, descrive la cassata così: “ov’è leggibile, scritta nel linguaggio della cucina, l’intera storia della Sicilia e dei suoi molti invasori, dai normanni agli svevi, dagli arabi agli spagnoli”, fino ad arrivare alla storia contemporanea in cui la povera cassata è abbrutita dall’oscura malevolenza del potere mafioso. “Quando parliamo del potere in Sicilia, non possiamo omettere di menzionare il ruolo della cassata nel mondo mafioso… Alla fine del pasto lei, la cassata, arriva sulla tavola salutata da gridolini di meraviglia. Lascerò a voi immaginare quanto è magnifica la cassata mafiosa. Una volta che la cassata è stata assaporata, l’ignara vittima designata è attorniato dagli amici che, fingendo affetto, senza rancore, niente di personale per l’amor del cielo, fermano nella gola il suo ultimo boccone stringendo il nodo scorsoio attorno al suo collo



[1] “Poverino chi non mangia la Cassata la mattina si Pasqua”.

[2] Gli Arabi avevano introdotto a Palermo la canna da zucchero, il limone, il cedro, l'arancia amara, il mandarino, la mandorla. Insieme alla ricotta di pecora, che si produceva in Sicilia da tempi preistorici, erano così riuniti tutti gli ingredienti base della cassata.

[3] L’etimologia della parola è controversa. C’è chi sostiene provenga dall’Arabo Al Quas’at (bacinella, ciotola) e chi invece dal Latino Caseum (formaggio).

[4] Questo sistema consentirà allo zucchero di sciogliersi e potersi cosi omogenizzare meglio con il formaggio.

domenica 14 febbraio 2021

Un dolce perfetto per l'inverno: il Pan d'Arancia

 


Non so se avete mai avuto la fortuna di camminare in un giardino di agrumi. L'odore della terra si mescola con il profumo delle zagare. Il verde intenso delle foglie e i colori sgargianti dei frutti - arance, limoni e mandarini – colorano l’aria di sfumature iridescenti. Tutta questa bellezza insieme provoca un coinvolgimento sensoriale tale da sconvolgere l’anima.

Ricordo da bambina che quando mia madre chiedeva: “Andiamo in giardino a raccogliere i limoni?”, io e mio fratello facevamo salti di gioia. Era una festa, un gioco diverso, l'esperienza diretta con la natura generosa che ti regala i suoi figli senza chiedere in cambio nient’altro che rispetto.

Ricordi che riaffiorano sempre quando inaspettatamente mi donano questo genere di frutta. E ogni volta non posso che approfittare della loro genuinità e freschezza e preparo marmellate, chutney, lemon curd e, se ci sono anche le arance, l'immancabile Pan d’Arancia.

Ecco la ricetta.

Ingredienti (per uno stampo a ciambella da 28 cm o 2 da 22 cm): 1 grossa arancia (con la buccia non paraffinata); 3 uova; 320 gr. di farina 00; gr. 250 di zucchero; 100 ml di olio di semi; 80 ml di latte; 1 bustina di lievito per dolci; un pizzico di sale.

Variante al mandarino: invece di un'arancia grossa, sceglietene una di piccole dimensioni e frullatela con due mandarini

Per la salsa all’arancia (facoltativa): 100 ml di acqua; 150 gr. di zucchero; 150 ml di succo d’arancia.

Procedimento: Preriscaldate il forno a 170° C. Ungete ed infarinate lo stampo prescelto.

Lavate bene l’arancia, tagliatela in pezzi eliminando eventuali semi e frullatela.

Sbattete le uova con il pizzico di sale e lo zucchero. Aggiungete il latte e l'olio. Quando sono ben incorporati al composto di uova, aggiungete la farina e il lievito. Unitevi il purè di arancia mescolando con una spatola fino ad ottenere un impasto omogeneo. Versatelo nello stampo e cuocete per circa 45/50 minuti. Fate sempre la prova dello stecco per accettarvi che non sia ancora troppo umida. In questo caso, continuate la cottura per ulteriori 5 minuti.

Nel frattempo mettete in un polsonetto gli ingredienti per la salsa e fate cuocere a fiamma molto bassa fino a quando non avrà una consistenza “sciropposa”.

Sfornate la torta, lasciatela raffreddare e sformatela su un piatto di servizio irrorandola con la salsa all'arancia.

Se non volete fare la salsa, cospargetela con dello zucchero a velo.

Buone cose agrumate a tutti!